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UNA RISATA LUNGA UN SECOLO

C’è da scommettere che anche quando è arrivata la sua ora, il 3 marzo del 1999, avrà preso in giro perfino la Morte che, come tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui in vita, ha sicuramente allargato le braccia quasi a dire: “Ma come dobbiamo fare con te?”.

Guerino Finessi è stato un personaggio incredibile, che ha vissuto Macchia per l’intero XX secolo e in quel tempo ne ha combinate di tutti i colori. Non era nato in paese, ma a Mignano Montelungo, in provincia di Caserta, nel 1908. La sua famiglia aveva origini ferraresi, erano agricoltori e si erano spostati al Sud perché lì mancava chi fosse specializzato come loro. Prima a Mignano, poi a Sant’Agapito e infine a Macchia, dove era arrivato da adolescente.

La Prima Guerra Mondiale l’ha vissuta da lontano, ma con la Seconda ha avuto a che fare, eccome. Però Guerino, solitamente un vulcano di chiacchiere, di quel conflitto non ha mai voluto parlare e quel poco che sappiamo – raccontato dal nipote Cosimo – è che ha toccato i cadaveri dei prigionieri uccisi nelle camere a gas, costretto dai nazisti a spostarli verso le fosse comuni. È lì che, probabilmente, si è iniziato a formare il suo carattere ridanciano, è lì che ha forse scelto la comicità come antidoto alle difficoltà e alle tragedie. Tragedie che, purtroppo, lo hanno tormentato ancora, con due figli che ha dovuto salutare prima del tempo. Il primo, di 16 anni, il secondo di 33. Guerino ha portato questo dolore fino ai 90 anni, ma lo ha tenuto ben nascosto sotto una coltre di simpatia. Del resto gli aneddoti su di lui si sprecano.

Una volta trovò una nidiata di barbagianni, una suora lo vide e chiese quanto volesse per uno di quei volatili, lui non chiese soldi, ma un bacio. E lo ottenne.
Un’altra volta, tornando a piedi dal mercato convinto di aver acquistato frutti esotici, smangiucchiava in realtà melanzane crude e sputava i bocconi maledicendo il venditore, convinto di essere stato truffato.
Un’altra volta ancora il padre lo minacciò col fucile in mano. Perché? Perché un mezzadro che lavorava sui campi di proprietà della sua famiglia gli chiese di rasarlo, visto che doveva andare a messa. Guerino accettò, ma già aveva in mente un piano: tagliò la barba solo a metà e in faccia, al posto del dopobarba, gli applicò un pappone di farina di mais. Il mezzadro si avviò verso la Chiesa, il padre di Guerino lo incontrò tutto impiastricciato e chiese spiegazioni. Capì e iniziò a inseguire il figlio, sparando colpi in aria per spaventarlo e a ognuno di quei colpi lui cadeva a terra, terrorizzato.

Da adulto ha vissuto in pieno la piazza del paese, dove dominavano le sue storielle e le sue barzellette. Quando aveva un impegno era molto ansioso, spesso la notte prima non dormiva ed era sempre quello che andava a svegliare gli altri, “Muovetevi è tardi!”. Era sempre in prima fila alla commemorazione del 4 novembre, con il suo cappello militare piumato. Fu sempre se stesso e smise di essere così com’era solo il 3 marzo del 1999, il giorno della sua morte. Fino all’ultimo, Guerino, fino all’ultimo ha scelto la via del sorriso, come chiave di lettura della vita e sollievo dal dolore dell’animo.

 

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